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Monthly Archives: agosto 2012

Mi è capitato di essere invitata a presentare Fatti male in una mostra d’arte, sarebbe stata una presentazione multimediale, ciò è avvenuto ieri alla sala dei Templari di un paese della Puglia: musica elettronica, videoproiezioni e lettura dell’incipit. Fin qui tutto bene, sono stata contenta di farlo, era la prima volta che potevo presentare un mio lavoro a una mostra d’arte.

Il problema è che la mostra era patrocinata dal comune e ci sarebbero stati gl’interventi delle figure rappresentative di tale istituzione. Questo dato ha provocato non pochi commenti nei confronti della mostra in sé e anche del mio personale atteggiamento. Perché una che viene da esperienze di strada, rave e centri sociali non può partecipare a una mostra sovvenzionata dal comune, questo è alto tradimento!

Ora, io mi chiedo, perché me lo son chiesto: c’è qualcosa di sbagliato nel mio modo di promuovere il mio romanzo? (che per altro parla di ambienti di cui quasi mai si scrive in Italia, preferendo i pipponi storici o le storie piene di luoghi comuni, scontate e borghesi, che, si sa, all’uomo medio piacciono tanto).

Allora cosa deve fare un artista o un aspirante tale per portare in giro i suoi lavori? Puoi fare l’artista di strada, la barbona, autopubblicarti e magari farti da sola da presentatore, autore e pubblico.

Il punto è che sulla mia faccia non c’è scritto: kamikaze. Da che il mondo è mondo i cosiddetti artisti cercano sponsor e promotori che riescano a lanciarli in quanti più ambienti possibile. Poi magari quelli più anarcoidi fanno di testa loro anche in mezzo agli aristocratici e ai borghesi, Michelangelo ad esempio lavorava per il papa ma disegnava nudi perfetti che per l’epoca erano scandalosi e osceni. Se vuoi far ascoltare la tua voce ti devi intrufolare ovunque, dal basso, e continuare a fare ciò che fai anche quando ti vietano di farlo.

Ora io non so se si tratti di invidia, o semplicemente di moralismo da branco, quel moralismo non detto, che passa sotto la pelle e dietro i gesti, quel moralismo che i cosiddetti alternativi negano di avere ma che in realtà non solo hanno ma talvolta offusca gli occhi e la mente e fa smettere di pensare con la propria testa e iniziare a parlare solo per sentito dire senza documentarsi personalmente. Perché i branchi sono questo: il diverso dev’essere annientato e basta, senza possibilità di riscatto. Come la storia dei gamberi: quello che sta per riuscire a uscire dalla scatola viene ributtato giù dagli altri.

Non che non me l’aspettassi, anzi, pensavo peggio. Ero convinta che all’uscita di Fatti male sarebbe scoppiata una rivolta nel mio stesso, diciamo così, gruppo d’appartenenza. Invece no, per fortuna non è accaduto. Alcuni ragazzi che conoscevo, che frequentavano i rave party, mi hanno detto che c’è del vero in ciò che ho scritto, che era ora che qualcuno lo facesse! E io li ringrazio, ringrazio tutti coloro che si sono immedesimati in Fatti male e che rifiutano qualsiasi logica di dominio sia dall’alto che dal basso, dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sulla donna e viceversa.

Vengo da Bari e nella mia città c’è un modo di dire malavitoso che è però radicato nelle persone fino al midollo, ed è: io appartengo. Tutti abbiamo bisogno di appartenere a qualcosa, a una casta, a una setta, a una comitiva, a una tribù, a un branco, a una famiglia.

Oggi, col sorriso tra i denti o con qualcosa di spezzato nel petto, posso dire certamente: IO NON APPARTENGO!

Io non appartengo a nulla. Scrivo ciò che vedo, come lo vedo, raccolgo testimonianze, esperienze, scrivo perché altrimenti imploderei. E questo mio non appartenere mi è costato caro, nella vita come nella scrittura, nel cercare un editore e ancor di più nel cercare di promuovere il mio lavoro, senza essere raccomandata né sostenuta da alcun cosiddetto gruppo d’appartenenza.

Ora, io voglio scrivere, d’accordo? E voglio scrivere di cose vere, reali, che attanagliano la mia esistenza e quella delle persone con cui parlo, a cui chiedo, di cui m’interesso. Voglio scrivere e conoscere il mondo, voglio conoscere il mondo e scrivere. Non ho due genitori che mi passano un assegno mensile e non ho un altro lavoro, almeno per il momento. Allora cosa dovrei fare se vengo invitata a proporre i miei lavori in ambienti che non somigliano per filo e per segno al mio? Rifiutarmi per ideologia? No, io ci vado, ci vado con borchie e zeppe, ci vado sparando in faccia al pubblico le mie parole crude, scarne, senza abbellimenti o inutili giri di parole che servono solo a dimostrare la propria bravura piuttosto che a dire realmente qualcosa. Io ci vado e porto fuori ciò che sono dentro e ciò che è la mia realtà. Altrimenti che facciamo? Ce la suoniamo e ce la cantiamo tra di noi?

Ho passato tutta l’adolescenza a cercare di fare la simpatica per entrare in improbabili gruppi di persone che mi sembravano, allora, fighe, e a fingere di essere come loro mi volevano e ora mi sono rotta le palle! Ora vi darò solo ciò che sento d’essere. Non sono simpatica, non sono socievole, non sono accondiscendente. Ho le mie idee e probabilmente queste idee non piacciono molto a chi ha a che fare con qualsiasi forma di potere. Disprezzo l’ipocrisia più d’ogni altra cosa, preferisco un nazista convinto a un sinistroide capace di paraculare un paziente psichiatrico o di escludere su due piedi chi non la pensa come lui o di mettersi serpi in seno che fingono benissimo di essere d’accordo con certe idee ma che in realtà hanno atteggiamenti che fanno invidia al bunga bunga.

E STATE ATTENI, ALTERNATIVI, CHE IL PIU’ DELLE VOLTE LE PEGGIORI MINACCE SONO TRA DI VOI E NON FUORI!

C’è gente che un giorno si mette a declamare robe per i diritti omosessuali e il giorno dopo sta facendo un pompino all’assessore/professore/politico di turno per farsi sponsorizzare di qua e di là. E voi neanche ve ne rendete conto. Ve la prendete con chi, umilmente e trasparentemente, cerca di promuoversi per essere e fare ciò che vuole senza mai leccare il culo (o altro) a nessuno.

Allora io penso che è nei gesti che si dimostrano le cose. Come si può professarsi fautori di grandi rivoluzioni sociali se poi si schiaccia il proprio compare per accaparrarsi un posto di potere? Come si può dirsi anarchici se poi si piega la testa alle dicerie di paese? È dalle azioni del singolo individuo che iniziano a cambiare le cose non dalle riflessioni sui massimi sistemi…

Mi sono sempre sentita parte di qualcosa, parte di un’idea di mondo nettamente diverso da ciò che ora questo mondo è, parte di un’onda di energie sotterranee che si muovono in silenzio e dal basso s’infiltrano negli infissi dell’esistenza e li corrodono piano fino a farli sparire a spalancare le porte verso un altrove.

Ma ora credo che tutti nella nostra lotta disperata per la sopravvivenza siamo essenzialmente soli e non possiamo fidarci delle apparenze, mai.

Ed è questo il senso di Fatti male: contro tutte le forme di dominio ed esclusione, anche quelle più sottili e subdole che si formano dal basso.